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Gianni Cortella, Gianni Poletti - 2007, 72 pp. ill., f.to 17x24 cm.
"Noi abbiamo visto il Medioevo". Lo possono affermare tutti coloro che hanno superato i sessant’anni. Perché a Storo, fino a quattro decenni fa, l’organizzazione del lavoro, l’utilizzo dei prati, pascoli e boschi della montagna, come la cura dei campi del fondovalle, avvenivano secondo tradizioni, arti e riti secolari, risalenti appunto al Medioevo e oltre.Questo libro vuole richiamare quelle atmosfere, quegli antichi odori e sapori, e testimoniare gli eventi che nel passaggio dalla società contadina a quella industriale e dei servizi hanno segnato e modificato la montagna, quella di Falerno in particolare: i collegamenti stradali, il campeggio e la costruzione della Casa Alpina don Vigilio Flabbi, l’edificazione di tante nuove casette per le ferie.Il territorio del comune di Storo non presenta oggi aspetti turistici esaltanti, ma è caratterizzato dall’interessante insieme di numerosi e minuti segni di cultura materiale tradizionale, che, se custoditi, potranno essere ancora un prezioso patrimonio per i residenti e dischiudere nuove potenzialità economiche. Obiettivo di questa pubblicazione è far sì che le bellezze create dalla natura e dai nostri padri siano conosciute e salvaguardate. Gli elementi dell’economia che hanno fatto la storia della valle, le antiche abitazioni, gli ambienti di vita, i toponimi, i paesaggi tradizionali vanno apprezzati, recuperati e valorizzati, inseriti in itinerari facilmente fruibili. Sono la nostra identità, che oggi deve essere reinterpretata in un’azione di protezione e sviluppo condivisa dalla pubblica amministrazione e dalla popolazione. Perché il territorio è un bene collettivo, per noi e per i nostri figli. Nel 1852 il capo indiano Seattle disse al Presidente degli Stati Uniti che voleva acquistare la terra della sua tribù: “Questa terra è sacra per noi. Quest’acqua scintillante che scende nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua ma il sangue dei nostri antenati. Il mormorio dell’acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, spengono la nostra sete. Nelle città dell’uomo bianco non c’è luogo tranquillo per ascoltare l’aprirsi delle foglie in primavera o il fruscio delle ali di un insetto, il sommesso suono e l’odore del vento, purificato da una pioggia di mezzogiorno o profumato dai pini. Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all’uomo, ma l’uomo appartiene alla terra”.Consegnamo ai lettori le pagine di Faserno e dintorni con questi pensieri di saggezza indiana.

Faserno e dintorni

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